Come si sviluppa l’attacco di panico

DOTT.SSA ANNA DALLAVO • 8 ottobre 2025

Definizione

L’attacco di panico è un episodio di ansia intensa che raggiunge l’apice in pochi minuti accompagnato da una serie di sintomi, come sensazioni di capogiro, di svenimento, soffocamento e paura di morire, impazzire o di perdere il controllo.

Si può presentare all’interno di un qualsiasi d’Disturbo di ansia, come di altri disturbi mentali, ad esempio dopo un trauma o un abuso di sostanze o in alcune condizioni mediche generali (cardiache, respiratorie, gastrointestinali).


Ansia anticipatoria

Compare dopo il primo attacco e rappresenta la paura che si possa verificare un nuovo attacco e delle sue conseguenze. Nei mesi successivi quest’ansia anticipatoria rappresenta il disturbo principale del quadro clinico ed aumenta ogni volta che la persona si trova ad affrontare situazioni uguali o simili a quelle in cui si è presentato il primo attacco. Si cerca di fronteggiare l’ansia evitando le situazioni temute o se non è possibile affrontandole con grande timore. Si generano in questo modo le condotte di evitamento.


Principali cause

Difficilmente gli attacchi si presentano senza fattori scatenanti. Il primo episodio, solitamente si manifesta in presenza di una forte pressione emotiva, quando si è malati, o si è stanchi fisicamente ed emotivamente. Raramente si presenta in persone che si sentono al sicuro e in assenza di fattori stressanti.

Una causa molto frequente è determinata dallo Stress.

L’attacco di panico si può manifestare durante periodi di tensione e stress elevati. Si possono suddividere due categorie di fattori stressanti:

·      Fattori stressanti psicologici: Lutti, problemi sentimentali, disaccordi in famiglia, difficoltà economiche o lavorative

·      Fattori stressanti fisici: diagnosi di malattie fisiche, esaurimento lavorativo, mancanza di sonno, utilizzo di sostanze.

 

Come si sviluppa l’attacco di panico

La persona in breve tempo arriva a provare disagio, o paura intensa in situazioni che normalmente non dovrebbero determinare tale attivazione

Sintomi associati

·      Respiro affannoso

·      Palpitazioni

·      Vertigini o giramenti di testa

·      Formicolii alle mani o ai piedi

·      Senso di costrizione o dolore al torace

·      Sensazione di soffocamento o di mancanza di aria

·      Sentirsi svenire

·      Sudorazione

·      Tremori

·      Vampate di caldo o di freddo

·      Bocca secca

·      Nausea o nodo allo stomaco

·      Debolezza delle gambe

·      Visione annebbiata

·      Tensione muscolare

·      Impressione di non riuscire a pensare chiaramente o di non riuscire   a parlare

·      Impressione che le cose intorno non siano reali

·      Paura di morire, perdere il controllo   o di comportarsi in modo bizzarro


Modalità di reazione

Durante un attacco di panico le persone possono cercare di allontanarsi dalla situazione sperando di far cessare l’attacco, oppure possono cercare aiuto o isolarsi per la vergona.

Durante la prima esperienza chi ne è soggetto si spaventa molto per la paura di morire, impazzire o perdere il controllo tanto che spesso, cerca aiuto medico sanitario. Con il ripetersi degli attacchi si comincia ad avere meno paura di conseguenze negative anche se rimane la paura che l’intensità degli attacchi possa peggiorare.

 

Sviluppo di fobie ed evitamenti.

Chi è stato vittima di un attacco di panico cerca di darsi una spiegazione razionale di quanto è successo e, spesso accade, che si attribuisca la colpa del forte disagio alla situazione nella quale l’attacco è iniziato. Questo avviene per un fenomeno definito di condizionamento ossia nesso causa effetto “è successo in quella situazione e quindi è colpa della situazione”. Questa convinzione porta allo sviluppo di paure situazionali ed all’evitamento.

Le persone iniziano quindi rapidamente ad evitare tutte quelle situazioni dalle quali potrebbe essere difficile allontanarsi o trovare aiuto.

Ad esempio, tutti i mezzi pubblici sono ritenuti pericolosi perché è necessario aspettare per poter scendere o avere aiuto, così come stare soli in casa o viaggiare in mezzo al traffico o su strade deserte dove potrebbe essere difficile abbandonare il veicolo o avere aiuto.

Tramite il Processo di generalizzazione le persone iniziano inoltre a temere anche situazioni simili.

Fondamentale per chi soffre di attacchi di panico è capire il significato di condizionamento e generalizzazione perché, per stare meglio deve imparare a interrompere il legame tra attacchi di panico e situazioni evitate.

Gli evitamenti possono essere accorgimenti che aiutano a superare gli attacchi di panico ma nel lungo periodo sono controproducenti perché creano abitudini protettive che limitano il funzionamento quotidiano.

 

Pensieri negativi.

Nelle persone soggette ad attacchi di panico gli evitamenti svolgono la funzione di diminuire la preoccupazione di: fare brutta figura, fare cose imbarazzanti, di non trovare aiuto, di perdere il controllo o fare del male a sé stesso o a persone care.

 

Scopo della terapia.

·      Controllo dei sintomi fisici: nello specifico il controllo dell’iperventilazione che durante l’attacco è la causa della mancanza di aria.

·      Identificazione dei pensieri negativi: si cerca di identificare il dialogo interno, ossia ciò che la persona dice a sé stesso prima, durante e dopo l’attacco mettendo in luce le convinzioni erronee che aumentano l’ansia

·      Esposizioni graduali: gradualmente si impara ad esporsi alle situazioni temute ed evitate.


Autore: DOTT.SSA ANNA DALLAVO 10 marzo 2025
Il perfezionismo è spesso visto come una qualità positiva, associata alla determinazione e all’eccellenza. Tuttavia, quando diventa eccessivo, può trasformarsi in un problema che genera ansia, insoddisfazione cronica e stress. Le caratteristiche del perfezionismo Esistono diversi tipi di perfezionismo, alcuni più adattivi e altri dannosi. Alcune caratteristiche comuni includono: Alti standard personali: voler eccellere in ogni ambito della vita. Paura dell’errore: considerare ogni sbaglio come un fallimento totale. Autocritica eccessiva: essere severi con se stessi, senza mai sentirsi “abbastanza bravi”. Procrastinazione: rimandare attività per paura di non eseguirle alla perfezione. Dipendenza dall’approvazione altrui: basare la propria autostima sulle opinioni degli altri. Quando il perfezionismo è sano, aiuta a migliorarsi e a raggiungere obiettivi ambiziosi. Tuttavia, quando diventa patologico, può portare a problemi come ansia, depressione e disturbi alimentari. Quando il perfezionismo diventa un problema? Il perfezionismo diventa patologico quando inizia a compromettere il benessere e la qualità della vita. Alcuni segnali d’allarme sono: Difficoltà a portare a termine un compito perché si cerca sempre di migliorarlo. Ansia e stress cronico legati alla paura di sbagliare. Bassa autostima nonostante i successi raggiunti.  La terapia cognitivo-comportamentale può essere molto utile per imparare a gestire le aspettative in modo più realistico e ridurre l’impatto negativo del perfezionismo.
Autore: DOTT.SSA ANNA DALLAVO 10 marzo 2025
Le distorsioni cognitive tendono ad essere estreme: c'è spesso una qualità "in bianco o nero" oppure "tutto o niente" in questi pensieri. Tendono a enfatizzare il lato negativo a scapito di quello positivo. Siamo programmati per pensare prima agli aspetti negativi quando ci sentiamo ansiosi, perché il nostro corpo sta cercando di proteggerci. 1. Pensiero in bianco e nero: vediamo cose, eventi e persone come perfette o terribili, tutte buone o tutte cattive. Diciamo “sempre” o “mai” spesso, non vedendo la “zona grigia” che c'è quasi sempre. 2. Catastrofizzazione : reagiamo a una delusione o ad un fallimento come se significasse la fine del mondo. 3. Saltare alle conclusioni : assumiamo il peggio senza verificare le prove. Decidiamo che qualcuno non ci ama, ma non lo controlliamo; o prevediamo che accadranno cose terribili anche quando non ci sono prove per questo. 4. Ignorando il positivo : non prestiamo attenzione alle esperienze positive, o le rifiutiamo o diciamo che in qualche modo "non contano". 5. " Colpa mia!": Ci assumiamo la colpa o la responsabilità per cose al di fuori del nostro controllo. 6 ."Dovrebbe": critichiamo noi stessi o altre persone con idee su cosa "dovrebbe" essere assolutamente fatto senza considerare da dove otteniamo questa idea. Ignoriamo le ragioni per cui potremmo aver fatto quello che abbiamo fatto, o pensiamo che avremmo potuto avere una conoscenza che non avremmo potuto effettivamente avere. I "dovrebbe " a volte ci fanno sentire inadeguati nonostante i nostri tentativi di essere auto-motivanti. 7. Ingrandimento e riduzione al minimo : ci definiamo in base ai nostri difetti e riduciamo al minimo i nostri punti di forza. 8. Etichettare: invece di concentrarci sui comportamenti delle persone, facciamo affermazioni generali: "Sono un tale idiota" o "È un tale idiota". 9. Perfezionismo : Crediamo che tutti gli errori siano cattivi e debbano essere evitati. Per questo motivo, non ci assumiamo i rischi necessari per avere successo. Possiamo anche cercare di controllare tutte le circostanze e adattarle a ciò che pensiamo sia giusto. 10. Ragionamento in base alle nostre emozioni : crediamo che poiché ci sentiamo in un certo modo, ciò indica la verità su una situazione, e possiamo anche agire di conseguenza, nonostante a lungo termine ci fa male. I bias cognitivi sono errori sistematici nel nostro modo di pensare, che influenzano le nostre decisioni e il modo in cui interpretiamo la realtà. Spesso derivano dalla necessità del cervello di elaborare rapidamente le informazioni, portandoci però a distorsioni della realtà. I bias più comuni Ecco alcuni tra i bias cognitivi più diffusi e il loro impatto sulla nostra vita quotidiana: Bias di conferma: tendiamo a cercare e interpretare le informazioni in modo da confermare le nostre convinzioni, ignorando le prove contrarie. Esempio: leggere solo articoli che supportano la propria opinione politica. Bias dell’ancoraggio: diamo troppo peso alla prima informazione ricevuta, influenzando le decisioni successive. Esempio: se un prodotto in un negozio è scontato da 100€ a 50€, possiamo percepirlo come un affare, anche se il suo valore reale potrebbe essere inferiore. Bias della disponibilità: giudichiamo la probabilità di un evento basandoci su esempi facilmente ricordabili. Esempio: dopo aver sentito parlare di un incidente aereo, si può avere la sensazione che volare sia più pericoloso di quanto non sia in realtà. Come contrastare i bias cognitivi? Essere consapevoli dell’esistenza dei bias è il primo passo per ridurne l’impatto. Alcune strategie utili includono: Sfidare le proprie convinzioni cercando informazioni da fonti diverse. Prendersi tempo per riflettere prima di prendere decisioni importanti. Chiedere opinioni esterne per avere una prospettiva più oggettiva.  I bias cognitivi influenzano ogni aspetto della nostra vita, ma con maggiore consapevolezza possiamo migliorare la qualità delle nostre scelte e comprendere meglio noi stessi e gli altri.
Autore: DOTT.SSA ANNA DALLAVO 10 marzo 2025
Quando si parla di ADHD, spesso si pensa a un disturbo che riguarda esclusivamente l’infanzia. Tuttavia, molte persone ricevono la diagnosi solo in età adulta, dopo aver trascorso anni a lottare con difficoltà nella gestione dell’attenzione, nell’organizzazione della propria vita e nel controllo dell’impulsività. Come si manifesta l’ADHD nell’adulto? Negli adulti, il disturbo può presentarsi con sintomi differenti rispetto all’infanzia. Se nei bambini prevale l’iperattività, negli adulti spesso emergono altre problematiche: Difficoltà di concentrazione: fatica a mantenere l’attenzione su compiti lunghi o dettagliati, con tendenza alla distrazione. Disorganizzazione: problemi nella gestione del tempo, delle responsabilità lavorative e della vita quotidiana. Impulsività: difficoltà a controllare reazioni emotive o comportamentali, prendendo decisioni affrettate. Instabilità emotiva: oscillazioni dell’umore, irritabilità e sensazione di frustrazione frequente. Molti adulti con ADHD sviluppano strategie per compensare queste difficoltà, ma spesso sperimentano una sensazione di insoddisfazione e fatica costante, senza comprendere il motivo. Come avviene la diagnosi? La diagnosi di ADHD nell’adulto è complessa e richiede una valutazione approfondita: Colloquio clinico – Un professionista specializzato (psicologo o psichiatra) raccoglie informazioni sulla storia personale, valutando la presenza di sintomi fin dall’infanzia. Questionari e test diagnostici – Strumenti standardizzati vengono utilizzati per analizzare la gravità dei sintomi e distinguere l’ADHD da altri disturbi, come ansia o depressione. Esclusione di altre condizioni – È fondamentale escludere problemi neurologici o psichiatrici che potrebbero causare sintomi simili.  Riconoscere l’ADHD in età adulta permette di trovare strategie efficaci per gestire il disturbo, migliorando significativamente la qualità della vita.